"NULLA È MENO SCIENTIFICO DI NEGARE CIÒ CHE NON SI SPIEGA...." Jean Valnet

lunedì 8 ottobre 2012

YOGA DELLA RISATA: Risate "vere" o Risate "finte"? Una diversa chiave di lettura


Lo yoga della risata è un metodo unico per ridere……. senza.motivo. Come?  Combinando esercizi di respirazione mutuati dall’antica sapienza Yogica con esercizi di risate auto stimolate. Fatte, cioè, senza bisogno di barzellette o comicità ma prodotte a partire dal corpo per sollecitazione meccanica del diaframma.

La filosofia del metodo si fonda sul presupposto scientifico che il corpo umano non distingue tra una risata spontanea e una simulata. In entrambi i casi, infatti, si mettono in atto i medesimi meccanismi neurologici e bio-chimici.

A suffragare il predetto presupposto scientifico esiste una consistente letteratura di matrice statunitense[1].
E del resto tracce empiriche che ricollegano effetti sistemici complessi e complessivi alla rievocazione di “memorie corporee” caratterizzano anche altre tecniche corporee (dal rilassamento progressivo di Jacobson, all’analisi  bio-energetica).

L’argomento che vorrei affrontare nel post è tuttavia diverso ed è:
una risata stimolata nel corpo, autoindotta o, per cosi dire, “meccanica” è una risata finta?

La risposta è no!

Tale risposta poggia sullo smascheramento di un equivoco culturale che è quello di ritenere spontanea soltanto la risata procurata con umorismo.

In realtà studi sulla nostra storia evolutiva hanno dimostrato che la risata umana è “nata” prima dell’umorismo:

- essa infatti è la risposta fisica a una generalizzata sensazione di appagamento e gratificazione[2]; è l’espressione della Gioia e il mezzo per esprimere soddisfazione amichevole (“ti mostro i denti in modo inoffensivo e disarmato”); l’umorismo viene dopo, come leva per suscitare negli altri la risata al fine di smorzare ostilità e affrontare situazioni problematiche.
- La risata è linguaggio universale che travalica i sistemi culturali di comunicazione evitando le distorsioni di significato tipiche della comunicazione verbale e presenta nei diversi popoli le stesse caratteristiche gestuali e sonore.
- L’umorismo, invece, impegna risorse intellettive e cognitive e come tale risente dei diversi contesti culturali di riferimento.

A tale differenziazione corrispondono due diversi (seppur interdipendenti sotto il profilo morfologico e funzionale ) percorso neuronali:
1) il senso dell’umorismo viene “decodificato” e compreso nell’area corticale prefrontale;
2) la risata primitiva (o senza motivo) impegna invece aree subcorticali, tipicamente: il sistema limbico e, in particolare, all’interno di questo il nucleo accumbens.
E’ questo tipo di attività neuronale che, per interazione ipotalamica, dialoga con i meccanismi cerebrali che presiedono alla produzione di quelli ormoni del benessere derivante dalla risata.
Da ciò si comprende come una risata fatta senza motivo non è “finta” rispetto a una risata procurata da una barzelletta.
Anzi per produrre gli effetti endocrinologici che la scienza ascrive alla risata[3], una risata “da barzelletta” dovrebbe avere una durata prolungata ed essere associata a un’emozione, altrimenti implicherebbe soltanto una “soddisfazione dell’intelletto”.

Nella risata senza motivo che si fa in un club della risata; a) la durata prolungata è assicurata dall’esercizio; b) l’emozione che funge da driver dell’attivazione è (o dovrebbe essere) la sperimentazione del senso di libertà che deriva dal comportarsi come “giocosi mattacchioni”, dall’abbandonarsi ai movimenti del corpo e dal conseguente allentamento delle tensioni.

E’ in questa inversione di rotta che risiede la potenza dello Yoga della Risata:
si parte dall’attivazione del meccanismo “sub-corticale”, collegato con i circuiti del piacere e della gratificazione e - attraverso le afferenze delle strutture sottocorticali e mesencefaliche  - si arriva alla corteccia prefrontale mediale[4], che “cognitivizza” l’esperienza vissuta facendoci riconoscere più liberi e sereni e ponendo le basi per una nuova valutazione dell’autostima e per una diversa risposta comportamentale alle esperienze/sollecitazioni  della vita reale.






[1] Si fa riferimento in particolare alla letteratura medica sulla gelotologia  che prende avvio negli anni ’60 con lo psichiatra William Fry e prosegue con le ricerche di  Lee Berk  nel campo della PNI (Psiconeuroimmunologia).
[2] Ciò è riscontrabile anche rispetto alla storia individuale umana (che nel suo svolgersi ripercorre in qualche misura la storia evolutiva della specie): ogni neonato ride a sollecitazioni fisiche e/o in risposta ad una situazione di gratificazione.
[3] Mi riferisco in particolare alla produzione del neutrotrasmettitore dopamina.
[4] Le corteccia prefrontale mediale riceve le afferenze delle strutture sottocorticale e mesencefaliche nel circuito orbito frontale mediale.

lunedì 20 agosto 2012

Siamo Luce che attraversa le realtà fenomeniche.


Cari Olisti e un po’ che non ci si sente.
Accerchiati dalla canicola provocata dai vari Caronte, Caligola, Lucifero (e chi più ne ha più ne metta) il cervello va in stand-by… e con esso si abbassa la nostra attenzione e il nostro livello di reattività.
Proprio in questi momenti, però, è probabile che un qualche satori si affacci alla mente e affiori svicolando dalle maglie del pensiero razionale.
Il mio satori - che ha preso corpo tra i contorni fluidi che il salire del calore dalla sabbia conferire alle cose - è stato proprio:
“ ..Siamo luce che attraversa le realtà fenomeniche.”
Che vuol dire?
E quali le ricadute di tale considerazioni sulla nostra esistenza quotidiana?
Che siamo luce è ormai una verità scientifica (sebbene declamata in modo forse semplicistico e dal vago sapore filosofico) che dimostra la natura ambivalente della materia in termini di particelle e di onde elettromagnetiche.
Quando questa “luce” finisce il ciclo vitale della forma in cui si era organizzata torna al Tutto che compone l’Universo, in una visione laica della reincarnazione di derivazione orientale o della vita eterna di matrice cristiana. (Ricordate infatti che è valido il principio – riconosciuto dalla nostra conoscenza codificata – che “ Nulla si crea e nulla si distrugge” ed è altrettanto vero che mondo vegetale, animale e minerale sono costituiti, in proporzioni e modelli di aggregazione distinti, dai medesimi elementi chimici).

Ebbene, nella forma in cui è organizzata (la vita) questa luce attraversa le realtà fenomeniche.

Tutto è “realtà fenomenica”: intendendo con tale espressione tutto ciò che accade e che è percepibile dall’uomo attraverso i sensi.
In tale accezione è “realtà fenomenica”…: la relazione con il partner; la fila al casello del rientro di fine agosto; l’incidente in autostrada (fino ad un secondo prima, inatteso e imprevedibile); la promozione sul lavoro; la costruzione della casa dei nostri sogni; la distruzione della stessa casa dei nostri sogni da parte di un cataclisma!

Come ci aiuta la consapevolezza di essere luce che vivendo “attraversa” tutto ciò?

Certo questa consapevolezza non nega la natura umana, non scongiura i sentimenti e le emozioni di gioia o dolore connesse all’attraversamento.. ma ci offre una prospettiva diversa e un contenuto di significato totalmente altro rispetto a quello di pensare che la vita sia tutta in ciò che ci accade.

La consapevolezza di essere luce che attraversa la realtà fenomenica ci libera dall’attaccamento ai beni materiali e dall’attaccamento ai beni spirituali (quanti di noi sono attaccati strenuamente a ideali di libertà individuale, di crescita e di cambiamento!?!); relativizza il nostro vissuto, le scelte e il “peso” dei nostri sentimenti; ci restituisce la capacità di stare con il Tutto e di sentirci espressione dell’infinito che si declina in ogni cosa!
In una parola: ci rende liberi e leggeri!
Che la vita vi sia lieve!

Un abbraccio
Lucio

lunedì 23 aprile 2012

"OH, OH,.....AH AH AH"


Cari Olisti, buongiorno a tutti,
oggi vengo a voi con un post un po’ personale: ho infatti finalmente concluso il mio training per divenire conduttore di sessioni di Yoga della Risata. Ora sono Leader certificato (oh, oh, ah, ah,ah).

Innanzitutto vi dico, brevemente, di cosa si tratta e, poi, aggiungo perché ne scrivo oggi qui.

Si tratta di una tecnica di risate incondizionate (senza motivo) ideata nel 1995 da un medico allopatico indiano, il Dr. Madan Kataria. Essa combina tecniche base di respirazioni yogiche con “figure” di risate procurate senza motivo. Ciò sulla base del presupposto che il corpo non distingue tra una risata simulata e una vera (nel senso di risata procurata da una situazione comica); è stato infatti scientificamente dimostrato che la biochimica del nostro corpo si attiva nella medesima misura.
Tornerò su questi temi in successivi post poiché reputo l’argomento molto interessante e meritevole di sviluppi da varie prospettive.

Vengo invece al punto perché ne scrivo oggi:….. per dire Grazie.

Tanto per cominciare per rendere onore all’Universo e all’incontro con persone, i miei nuovi amici di risate (i componenti del gruppo di training), colmi di Amore e di Grazia.
Ognuno di loro senza parole, senza le costrizioni e gli adattamenti verbali per poterle comunicare, ha condiviso con gli altri le proprie emozioni.
Dietro ognuno dei loro sguardi ho potuto scorgere le gioie, le paure, gli entusiasmi e le aspettative del  bambino interiore che ognuno di noi andava piano piano ricontattando; dietro gli occhi di ognuno ho intuito le offese e i dolori che la vita nel suo scorrere sedimenta dentro di noi.

E allora un grazie grande agli occhi di Santa e di Annamaria, agli occhi di Tiziana e a quelli di Anna, di Maria, di Alessandra e ancora  a quelli di tutti gli altri che non menziono, veramente, solo per brevità.
Durante la Break connect ho ripreso per mano il piccolo Lucio che avevo portato lì a ridere e, vi confesso, che risentirlo in quel modo profondo mi ha fatto piangere durante la meditazione.

E poi un secondo Grazie speciale alla nostra Formatrice Laura Toffolo – Presidente dell’Associazione Nazionale dello Yoga della Risata -  anima dolce, forte e fragile a un tempo, donna di enormi competenze e di forti sentimenti.

Ieri Laura ci chiedeva, a conclusione del corso, di esprimere la cosa più significativa che ci aveva lasciato l’esperienza formativa.
Per ognuno di noi avrà risuonato più qualcosa rispetto a qualcos’altro, a seconda delle attitudini, dei vissuti e del background di provenienza.
Ieri eravamo tutti troppo stanchi e felici per verbalizzarlo
Io l’ho messo a fuoco questa notte e voglio esplicitarlo come tributo speciale a questa tecnica e a  chiarimento per i  “Riso-scettici”.
Per me la cosa più potente e straordinaria della tecnica (è infatti uno dei suoi “perché”) è l’assenza di bisogno di uno stimolo esteriore per ridere.
Una risata “meccanica”, infatti, ha una potenza dirompente che non va sottovalutata. Essa non necessita di felicità, di senso dell’umorismo, di eventi favorevoli nella nostra vita e, proprio per questo, (lo ho esperito sulla mia pelle) per poter essere fatta non necessita della legittimazione e dell’assenso della mente pensante (quella che  ci chiederebbe: “..ma che motivo avrei per ridere”). E,  allora, … ne boicotta i controlli, ne agira indisturbata il “check point” e irrompe nel corpo lavorando in modo potente ed immediato come tecnica corporea.
Mi piace dire (potete usarlo, ma ne rivendico il copyright :-)..ahahhaha ) che nella sua apparente “banalità” è “la piccola punta di diamante” che manda in frantumi lo spesso vetro che talvolta si frappone tra noi e gli altri; è la “sottile lastra” che apre la pesante porta della stanza dentro cui avevamo imprigionato la nostra essenza più autentica e ci svela – novelli Alice – un mondo di incredibili connessioni, di colori, luci e suoni.

Lucio

lunedì 2 aprile 2012

La Saggezza del Lombrico


Siamo a primavera!
Stagione di risveglio e di gemmatura…
Basta allontanarsi un po’ dalle città per immergersi in un tripudio di alberi in fiore; di prati erbosi di un verde elettrizzante; di rami, ancora secchi, traboccanti di gemme ora verdi, ora bordeaux, pronti a esplodere alla vita; in un’aria tersa portatrice di mille melodie di uccelli.

Anche noi partecipiamo a questa scia di risveglio e di rinascita: vi propongo allora un esercizio di radicamento e di ricarica energetica.

In una bella giornata di sole spostatevi fuori città.
Scegliete un posto ameno possibilmente ampio, meglio se non troppo boscoso ma piuttosto erboso con dolci declivi collinari.
Occorre individuare un luogo (ove ne abbiate la possibilità) lontano da abitazioni e, se possibile, senza “interferenze” dell’opera dell’uomo (fognatura, cavi elettrici sotterranei, linee telefoniche ) ciò è importante per assicurarvi un contatto più diretto e “pulito” con la Madre terra.
Togliete le scarpe e sedete a terra con le gambe flesse, sentendo la pianta dei piedi e gli ischi (sono le ossa all’estremità inferiore della natica) ben piantati a terra, le ginocchia sono morbide e i vostri talloni saranno a circa 35 cm dal sedere. In questa posizione dovreste sentire parte della zona genitale adagiata sul terreno e la schiena morbidamente allineata; sciogliete un po’ il collo, pensate che la testa vi si poggi sopra dolcemente sorretta senza sforzo e senza tensione muscolare. Trovate la vostra posizione comoda!
Ora – per trovare un altro punto di contatto e di dialogo con la Terra -  poggiate entrambi le mani a terra all’altezza del bacino, ne troppo in avanti ne troppo indietro, in modo da lasciare rilassata l’articolazione della spalla, le braccia non sono tese ma morbidamente e naturalmente piegate ai gomiti.
Sentiamo il contatto dei palmi sul terreno, la percezione è che non stiamo spingendo con le mani verso la Terra ma stiamo abbandonando spalle e scapole e siamo sorretti dalla Terra attraverso le mani.
La Terra ci sostiene e ci ricarica! E cosi stiamo, a occhi chiusi.
Ascoltiamo senza cercarla ma con accogliente attenzione ogni sensazione fisica che emerge, sentiamo il respiro senza tentare di liberarlo di allungarlo ma semplicemente ascoltandolo cosi com’è…sentiamo il sole che ci scalda il viso….
Siamo sostenuti dalla Terra che con il suo calore, il suo movimento perpetuo le sue reazioni di vitale risveglio nutre e sintonizza la nostra pulsazione vitale.
Potremmo sentire l’onda respiratoria che sale dal nostro bacino, dal sacro e si irradia su per la schiena spostando impercettibilmente la testa….
Potremmo, come d’incanto, sentire il silenzio dentro di noi e di colpo aver consapevolezza dei mille suoni portati dal vento nell’ambiente fuori di noi.
Questa esperienza corporea istantanea, se accade, è sconvolgente! E illuminante del c.d “fare spazio” che è quello che si consente di “vedere” e entrare in autentico e gioioso contatto con l’Altro da noi.
A questo punto, se accade, aprite gli occhi e state con tutto ciò: i suoni degli uccelli che sino a quell’istante non erano così distinti; il vento e il sole che vi carezzano il volto; l’erba mossa dalla brezza.
Carezzate dolcemente quell’erba.. probabilmente vi arriverà più forte e chiaro il suo profumo…

Accadrà tutto questo?

Non lo so, non potete saperlo neanche voi prima di viverlo, …. non dovete andare lì come sentinelle in agguato per coglierlo.
Può accadere come no!
Non è importante. Sicuramente, però, questo contatto profondo lavora e muove cose dentro di voi.
Non è necessario che capiate come. Non è importante sapere come e attraverso quali meccanismi funziona.
Lasciamolo accadere.

Domenica in una splendida passeggiata, immerso nella campagna umbra, ho avuto modo di imbattermi in un grosso lombrico: sono rimasto estasiato dalla sua insospettabile grazia e leggiadria. Non so se ne avete mai osservato uno, sembra allungare la testa verso la direzione in cui sta andando e poi richiama a sé ritmicamente parte del lungo corpo e quando questa parte si comprime a ridosso della testa, soavemente riparte in allungamento… è armonico ed elegante!
Sa come fare? Si chiede come nasce la contrazione dei suoi anelli e quando alla contrazione del precedente far seguire il rilassamento del successivo?
Certamente no!
Eppure partecipa al ed esprime il….. ritmo.
Buon risveglio a tutti!

venerdì 23 marzo 2012

Le Vie del Respiro


Tutte le tradizioni orientali di diversa provenienza sottolineano l’importanza del respiro nella pratica e nel riequilibrio energetico della persona.
I più recenti approcci occidentali di diversa estrazione concettuale – dal Feldenkrais alla bioenergetica – riconoscono al respiro e alla sua “liberazione” un ruolo cardine nel processo di salute dell’individuo.

E’ possibile tracciare un denominatore comune e sinergico ai diversi approcci che consenta di capire l’effettiva importanza di questo atto vitale?
Secondo me si: l’area di individuazione di questo comune denominatore va ricercata nella fisiologia e nei meccanismi di funzionamento dell’atto stesso.

Da tale convinzione è scaturita l’idea di definire delle “vie” del respiro; intese come patterns attraverso cui la respirazione ha impatti sul nostro complessivo livello energetico.

Tre sono le vie:
-  cellulare:
-  mio-connettivale:
-  e, naturalmente, olistico- mistica.
  
(via cellulare)
 Attraverso la ventilazione polmonare avviene l’approvvigionamento di ossigeno (e l’eliminazione dell’anidride carbonica) che consente la respirazione cellulare e quindi il nutrimento di tutte le cellule del nostro corpo. E’ la presenza di ossigeno che consente alla cellula di ricavare energia dagli elementi nutritivi che gli arrivano con il flusso sanguigno. Tale respirazione nelle cellule eucariote (quelle umane ad esempio) avviene nei mitocondri, il cui DNA e di esclusiva trasmissione materna.
Ciò mi offre l’occasione di una breve digressione sul profondo legame energetico che lega ognuno di noi alla madre. Il metabolismo cellulare, fondamentale alla sopravvivenza, è infatti presidiato da componenti cellulari le cui caratteristiche si ereditano dalla madre.

(via mio-connettivale)
 La respirazione e l’atto biomeccanico che mantiene il nostro corpo vibrante. Noi siamo vibrazione! Lo conferma la moderna ricerca scientifica che descrive la materia in termini di onda; le nostre strutture atomiche sono in perpetuo movimento e, salendo  di livello dal micro al macro, tutto l’organismo vivente è in continua vibrazione: ogni sua parte vibra (si pensi al battito cardiaco, allo scorrere dei fluidi corporei, alla peristalsi, alla continua e interdipendente contrazione e decontrazione del tessuto muscolare con il variare della postura e dei movimenti, agli spostamenti e rotazioni che caratterizzano tutti i segmenti ossei ad ogni singolo passo del nostro piede). Questo complesso e articolato “miracolo” vibratorio in un corpo sano e libero da “interferenze strutturali” avviene in modo sottile, spontaneo e sincrono.

La respirazione è il compendio, e se vogliamo il leading act,  di questo complessivo e interrelato processo vibratorio. E’ il canale che ci accompagna in punta di piedi alla consapevolezza di questa incessante vibrazione!
Il ritmo respiratorio è sincronizzato al ritmo cardiaco; una sana e libera respirazione addominale induce – attraverso la contrazione/decontrazione dei pilastri del diaframma – una continua, impercettibile oscillazione di tutta la colonna vertebrale a partire dal suo tratto lombare.
L’abbassamento del diaframma “massaggia” i nostri visceri, favorisce il transito intestinale e stimola la pompa circolatoria e il deflusso linfatico.
Una significativa e spontanea contrazione del diaframma (che può aver luogo soltanto quando lo stesso a riposo non è retratto) si irradia ai muscoli adiacenti, allo psoas al quadrato dei lombi. Ci appoggia per tale via sul bacino, agevola il radicamento.
Al contrario una respirazione addominale coartata interferisce con la naturale vibrazione dell’organismo; sposta il movimento respiratorio verso l’alto; rendendolo più superficiale e chiama altri muscoli a supplire alla “deficienza” del movimento diaframmatico accentuandone il ruolo (e la contrazione). Si tratta di quei muscoli accessori che, invece, di norma entrano in funzione solo durante la respirazione forzata (muscoli scaleni, romboidi, sternocleidomastoidei…).

(via olistico- mistica)
Come accennavo, non va infine sottaciuta la profonda valenza olistica del respiro.
Attraverso il respiro infatti introduciamo l’energia vitale (che la si chiami Ki, prana, Ka…) come abbiamo appena visto. Nella genesi il Creatore soffia la vita nelle narici di Adamo. Il soffio vitale non è solo fonte di energia ma anche espressione della creazione e del Tutto.
Noi respirando siamo in costante e perpetuo scambio gassoso. L’oggetto e l’ambiente di questo scambio è l’aria.
Questo elemento è quello che ci connette tutti in un Tutto.
Intanto l’aria è il mezzo di propagazione, per eccellenza, delle onde (sonore, elettromagnetiche) e delle informazioni (basti pensare per esemplificare alle molecole odorose)ma, ancor più importante è l’elemento che introduciamo dentro noi e riversiamo costantemente al di fuori di noi.
Respiriamo tutti la stessa aria: possiamo scegliere di non toccare il nostro vicino ma introduciamo in noi l’aria che è passata attraverso i suoi polmoni un istante prima.
Cosi vista possiamo pensare tutta la materia vivente che respira (uomini, animali e piante) come un unicum vibrante in perpetua espansione e compressione, in costante interazione e scambio informativo.

domenica 12 febbraio 2012

La Mente "Pensante", Meditazione e dintorni: una difesa dell'Io.


Nelle tradizioni filosofiche orientali – cosi come ci vengono tramandate nei centri di meditazione occidentali – ricorre spesso il concetto di “uccidere” la mente di farne cessare il lavorìo....
Tutto giusto e condivisibile ma, anche alla luce delle considerazioni del precedente post (Le-basi-corporee-della-coscienza….. del 11/02/2012), mi sembra doveroso spendere qualche parola di chiarimento sul significato funzionale della “mente pensante” e spezzare una lancia a favore dell’Io.

Con un’astrazione concettuale, definiamo l’Io il senso del Sé ossia quella struttura/funzione psichica che ponendosi come confine tra il Sé individuale e l’ambiente ne organizza lo scambio.
“Senza un confine non esisterebbe né il Sé né la coscienza”.[1]

Come ho tentato di illustrare nel precedente post una simile funzione ha precise basi corporee ed è stata affinata dalla nostra storia evolutiva per permettere di percepirci e di organizzare comportamenti congruenti e adattivi (al solo fine della sopravvivenza) agli stimoli esterni.

Da ciò discendono a mio parere due conseguenze logiche:
a)     non è possibile liberarsi definitivamente  del confine dell’Io;
b)  non dobbiamo a tutti i costi demonizzare la mente cercando ostinatamente di “smorzarla”, poiché questo sarebbe solo fonte di ulteriori costrizioni ansiogene e di contrazioni muscolari.


Ciò che si tenta correttamente di conseguire con la pratica meditativa è la consapevolezza propriocettiva “estesa” di tutto il nostro essere, tentando di far si che il rumore di fondo della mente non sia soverchiante.
Ciò che si vuole arginare è il “super-ruolo” dell’Io, direi la sua sclerotizzazione come confine, che si manifesta:
-       quando lo spazio del piacere del fare (anche professionale) è invaso dalle infestanti aspirazioni egoiche di potere;
-       quando la palpitante intimità fisica (che si può provare anche in assenza di Amore) è stata soppiantata dall’ansia della perfomance e dal laboratorio pornografico;
-       quando il “sentire” il proprio corpo è stato sfrattato dal delirio onnipotente di superarne ad ogni costo i limiti e di poterlo rimodellare a servizio di una perniciosa idea di esibizione;


In tutti questi e altri casi non è l’Io, la mente “pensante” che svolge un ruolo invadente e inopportuno.
In realtà il povero Io tenta disperatamente di svolgere il ruolo che gli è proprio: quello di organizzare al meglio la nostra esistenza. E’ che, come un membro di un più complesso equipaggio, si trova solo sulla nave a “vicariare” il lavoro di altri.
Esso (l’Io) è stato vittima di un complotto di abbandono e tenta disperatamente e incautamente – con le sue sole competenze - di continuare la traversata della vita.
In realtà l’abbandono è avvenuto a cura del nucleo energetico centrale: quello per cui sentiamo l’energia promanare da noi, quello che ci tende istintivamente verso il piacere e la Gioia.
Ciò che ha reciso la connessione profonda tra questo nucleo e l’Io è stata probabilmente un’interruzione, antica, del legame di amore.

Per questo ritengo che ogni lavoro di rilassamento e, più in generale di auto-consapevolezza, vada condotto togliendo prima ciò che vi è di troppo. Altrimenti si rischia di sostituire una “sovrastruttura” con un'altra, fornendo ancora più combustibile a quella mente che si pretende di spegnere.
Come dice egregiamente Lowen “Per quanto intensa possa essere, la meditazione non riesce a far piangere l’individuo il cui impulso al pianto sia stato represso.”[2]




[1] Alexander Lowen “La spiritualità nel corpo” – Casa Ed. Astrolabio. Pag.30
[2] ibid., pag.22.

sabato 11 febbraio 2012

Le Basi corporee della coscienza: una visione oltre il concetto corpo-mente e il riscontro esperenziale negli approcci a mediazione corporea.

Al maestro Pai-chang fu chiesto:

‘Che cosa dobbiamo fare per raggiungere la liberazione?’
‘cercare l’illuminazione improvvisa’
‘Che cosa è l’illuminazione improvvisa?’
‘Liberarsi in un attimo di tutti i pensieri e comprendere che non c’è niente che possa essere “raggiunto” ‘
‘Da dove dobbiamo cominciare?’
‘Dalla radice stessa’
‘E che cosa è la radice’
‘La coscienza’.


Ho voluto cominciare da questa bella storiella zen per introdurre l’argomento del presente post.
 La coscienza e le sue basi corporee.
Cosa questo significhi e come interviene, secondo me, in nostro aiuto nella vita quotidiana lo vedremo tra breve, nel corso della trattazione.

Per prima cosa, invece, poiché le parole sono “scatole vuote e cangianti”, chiariamoci: qual è il concetto di coscienza cui faccio riferimento?
Sgombriamo innanzitutto il campo da incrostazioni etiche per cui la coscienza è la capacità di distinguere il bene e il male per orientare i comportamenti.

Il termine - è qui usato in un’accezione molto neutra e generale - intende far riferimento alla capacità di un organismo vivente di verificare in modo dinamico, ricorrente e assolutamente non predeterminato il suo funzionamento e la sua interazione con l’ambiente circostante.

Tale capacità dei sistemi complessi si esprime in vari modi e attraverso diverse componenti fondamentali, tra cui:
§  Presenza (percezione di sé come entità distinta dall’ambiente e della interazione con lo stesso)
§  Immaginazione (utilizzo delle informazioni acquisite in modo estemporaneo e di quelle depositate in memoria)
§  Attenzione (raccolta di stimoli esterni e interni)
§  Volontà (risultante di elaborazioni di ipotesi del tipo: “cosa accadrebbe se” e loro perseguimento)
§  Emozioni (caratteristiche che emergono sulla base delle componenti di percezione e attenzione)
§  Memoria del proprio vissuto.

Ciò che vorrei arrivare a descrivere con termini essenziali e divulgativi e che tutte queste componenti hanno natura esclusivamente corporea; nel senso che si formano nel corpo, con un processo iterativo di scambio perpetuo con l’ ambiente e si esprimono con il corpo.

Meccanismi neuro-fisiologici, di diverso grado di complessità, presiedono agli aspetti della coscienza sopra evidenziati.
Essa (la coscienza) conferma la propria natura corporea non soltanto se indagata nei meccanismi neurologici ma anche nel suo significato più “filosofico” di messa in relazione del proprio mondo interno con del mondo esterno.

Quando si sente dire, sovente, che quella che viviamo è una realtà “creata” da noi si intende in verità fare riferimento ad un fenomeno molto concreto che spiega  quello che intendo per basi corporee della coscienza.

Nel porre in relazione mondo interno ed esterno ognuno di noi, più o meno inconsapevolmente, fa ricorso a dei modelli rappresentazionali: delle mappe del mondo interiore ed esteriore con cui l’individuo con un processo iterativo di individuazione e scambio con l’esterno definisce se stesso e il mondo, come oggetti reali.

Come e dove si disegnano queste mappe? Nel corpo e mediante il corpo a partire dalle esperienze.

Sono esperienze di specie, trascritte nel patrimonio genetico, e sono esperienze individuali. Tramite esse il nostro corpo costruisce una mappa delle sensazioni e delle emozioni alle quali noi diamo un nome e significato in base al contesto socio-culturale di riferimento e a una memoria semantica a più livelli trasmessa. Ma il nome e il significato come mediatore simbolici vengono dopo e sono acquisiti da tale contesto; l’imprinting esperienziale, invece, avviene per una vera e propria “incorporazione”.
Per questo ognuno di noi ha un proprio profilo emotivo; un proprio gradiente di “emozionabilità”; e una distinta reazione a stimoli (che, almeno nella loro esteriorità, appaiono) analoghi.

E’ un po’ come un pc che può leggere file di un certo tipo soltanto se ha incorporato il relativo programma!
Uno stimolo dall’esterno arriva a noi sotto una delle tante forme di energia (da quelle elementari di calore, pressione a quelle più complesse del pensiero e della parola che ci arriva da una conferenza o leggendo un giornale) e grazie a un meccanismo di trasduzione dello stimolo si trasforma in una carica elettrica che procura una variazione di potenziale d’azione lungo le vie di trasmissione nervosa e genera una qualsiasi risposta di interrelazione con l’ambiente (da quelle più immediate e “semplici” come quelle riflesse – tocco inavvertitamente una fiamma=ritraggo la mano - a quelle molte più articolate e complesse il pensiero ascoltato dell’esempio precedente mi procura una riflessione e/o una emozione).
Fin qui nulla di nuovo si tratta di acquisizioni scientifiche date e consolidate.

Ma che dire di fronte a sentimenti complessi e imponderabili, soffici e mutevoli come cirri, mossi dal vento dell’anima? Ebbene, pure questo è corpo.

Da anni ad esempio la ricerca neurobiologica è incentrata sul ruolo funzionale che piccolissime molecole – i neuro peptidi – avrebbero nel mediazione chimica delle emozioni.

Tali molecole e i loro relativi recettori, sono stati riscontrati non soltanto a livello di sistema nervoso anche in altri distretti corporei (intestino, reni, sistema immunitario) pertanto tutto l'organismo può considerarsi interconnesso a livello di neuropeptidi.  

Tanto che la nota ricercatrice Candace Pert scrive in proposito: ….
 Potrebbe anche essere che i neuropeptidi influenzano il processo delle informazioni solo quando occupano i recettori nei punti nodali del cervello e del corpo. Se è così, ogni neuropeptide può evocare un solo «tono», equivalente a uno stato d’animo”.
All’inizio del mio lavoro, pensavo realisticamente che le emozioni erano nella testa o nel cervello. Ora direi che esse sono anche nel corpo. Si esprimono nel corpo e fanno parte del corpo. Non riesco più a fare una netta distinzione tra il cervello e il corpo.[1]

Occorre passare, pertanto, da una visione “verticalista” (che prevede: vie nervose ascendenti e discendenti (dal centro alla periferia e viceversa); un cervello che gestisce e un corpo che obbedisce; una anima che sovraintende le nobili questioni dello spirito) a una visione dell’organismo come network di informazioni diffuse e rivedere il concetto di “energia” in termini di informazione.  Tale informazione si alloca e si esprime nel corpo ma esce da esso per circolare e tornare in tutte le cose dell’universo, viventi e non, e ciò rende tale universo un unico network intelligente.

E’ una visione meccanicistica che nega l’anima, il trascendente e la dimensione spirituale?  No!

E’ una visione profondamente mistica che ci rappresenta come un Tutto – uomini e cose – connesso e intelligente. E l’intelligenza di questo Tutto è riprodotta, come struttura di un medesimo frattale, nell’intelligenza del funzionamento corporale degli organismi viventi.

Questo ci rende divini: nel senso di portatori dell’intelligenza della creazione. Questo giustifica in termini atei e corporei l’esistenza di un’“anima” come informazione che torna al serbatoio unico e costante dell’informazione del Tutto.
Questo, senza voler denigrare altri sistemi valoriali, spiega su basi terrene la ”resurrezione della carne“ quando il nostro corpo al  momento della morte, cambia di stato, si scompone nei suoi componenti elementari e torna come materia (energia) al Tutto, in cui a livello sistemico nulla si crea e nulla si distrugge.

La sensazione di connessione che ci pervade di fronte a questa consapevolezza e profondissima!

Nuove frontiere della conoscenza stanno intravvedendo spiragli di questa “intelligenza universale”: penso ai filoni di ricerca della fisica quantistica, della biologia molecolare e alla matematica dei frattali.

Il riconoscimento di una simile visione rivendica il superamento della distinzione compartimentale delle conoscenze tra neuroscienza, endocrinologia e immunologia. Tale distinzione deriva soltanto dai limiti del nostro intelletto a cogliere come integrate le diverse manifestazioni della stessa realtà.

Accolto questo punto di vista, si comprende che anche l’(ormai non più) innovativo concetto di corpo-mente è una nostra dicotomia concettuale.
Infatti, non solo non vi è alcuna scissione/contrapposizione tra mente e corpo, ma anche la sinergia e l’interrelazione tra le due entità concettuali ritenute comunque distinte nasce da una nostra rappresentazione e decifrazione di un'unica  realtà fenomenica. Ciò che noi stessi chiamiamo mente (e quindi valori, modelli, rappresentazioni del mondo interno ed esterno) è corpo!

Che essa sia confinata nel cervello o piuttosto “diffusa” (nel corpo) o persino “estesa” (oltre lo stesso[2]) la mente è corpo.

Si tratta di un approccio nuovo che, se radicalmente fatto proprio dalla cultura dominante, avrebbe effetti dirompenti a livello epistemologico, sul modo di intendere e fare conoscenza, a livello filosofico[3] e di dottrine psicologiche.

Comprendo che tale enunciazione generale così posta è “vuota”; e per essere davvero rivoluzionaria dovrebbe confrontarsi di volta in volta – con il necessario rigore scientifico - con diversi argomenti delle varie correnti psicologiche, con i temi specifici dell’epistemologia, con il variegato mondo delle idee filosofiche.
Tutto questo, ovviamente, non può essere affrontato in questo spazio né io avrei tutte le competenze puntuali per poterlo fare.

Il punto focale è invece: per noi uomini e donne chiamati alla quotidianità di ogni giorno che importanza, quale utilità hanno simili riflessioni?

Dal punto di vista intellettuale, poca.
Attardandoci troppo su di esse rischieremmo di fare la fine dell’uomo protagonista di un’interessante storiella attribuita la Buddha:
Se un uomo colpito da una freccia avvelenata  non vuole che gli sia tolta prima di sapere chi l’abbia lanciata, a quale casta appartenga, quale sia la sua famiglia,…il tipo di arco che usa, il tipo di corda, il tipo di punta ecc… costui morirà prima di conoscere tutte queste cose”.

E’ allora?

Torniamo a dare leggerezza alle idee, ai pensieri e ai progetti.

Essi sono dotazioni connaturate alla nostra natura; sono utili nella misura in cui sono funzionali a realizzare strategie per la sopravvivenza. Non dimentichiamoci, però, che al di là  di questa precipua funzione tutte le idee, i sentimenti (e le dottrine in cui pretendiamo di cristallizzarle) hanno la consistenza delle nuvole: mutevoli e in perpetuo cambiamento.

Il mio slogan è “esperiamo l’esperienza”. Per far questo dobbiamo riappropriamoci della fiducia nelle sensazioni del nostro corpo, dobbiamo ripulire e affinare i meccanismi naturali del suo funzionamento.

Favorire il “sentire” è quanto tentano di ottenere da sempre - con diversi approcci e presupposti teorici di partenza  - le varie tecniche terapeutiche a mediazione corporea.
Dalla bioenergetica, con il suo lavoro di grounding e rimozione (o più propriamente consapevolezza) della corazza, al focusing e la sua ‘felt sense’, all’apprendimento organico del Feldenkrais, al movimento rigeneratore del Katsugen undo, ecc.

Vi propongo un esercizio per cominciare.

Poiché abbiamo detto che l’energia è informazione che transita tra noi e le cose dell’universo fissiamo un setting che ci aiuta a creare nel presente questo campo di condivisione.
  Potremmo utilizzare una campana tibetana o una candela accesa piuttosto che le volute fumose di una stecca d’incenso (riterrei meno preferibile della semplice musica a causa della sua minore … “consistenza  oggettuale”) insomma qualsiasi cosa con cui stare in relazione fisica nel momento presente.
E’ semplicemente uno stare con ciò che è. Non deve essere rilassante, ipnotico o bla bla bla.
Fissiamo la fiamma della candela piuttosto che sentiamo il suono (e ancor più la vibrazione) della nostra campana.
Non ci aspettiamo niente! Non deve accadere nulla.
Prestiamo soltanto attenzione a se percepiamo qualche sensazione nel corpo. Non deve essere una perlustrazione investigativa… è soltanto un’attesa priva di aspettative. Potremmo sentire o no .. magari sentiremo qualcosa la prossima volta..mah chi lo sa.
Possono passare pensieri, immagini  più o meno volontarie; non vanno ostacolati (pensiamo sempre!! Anche senza averne consapevolezza…è il corpo tranquilli) se, senza cercarla, arriva qualche sensazione non freniamola, non tentiamo di spiegarla e di analizzarla..non deve svelare nulla al nostro “intelletto” deve semplicemente poter essere.
Può trattarsi di un formicolio, di un crampo da qualche parte, di una sensazione di calore o di pesantezza ( si tratta in genere di cose molto sottili e molto comuni…) accogliamola con naturalezza. Sarà questo quello che dovrei sentire o è suggestione… me lo sto immaginando? Scccc… va bene così!
Qualunque ne sia la fonte per il fatto di percepirlo semplicemente esiste. Seguiamo quella sensazione.. come muta nel corpo? Dove ci porta? Da quel senso di contrazione alla pancia…si sposta  in forma di formicolio alle gambe? Bene seguiamola! Ci accorgiamo di respirare meglio in modo più naturale? o, al contrario, la nostra respirazione è più bloccata che all’inizio? Comunque sia va bene così! Lasciamola essere.
Rassegniamoci a questa saggezza del corpo, Affidiamoci alla sua amorevolezza …non deve condurci in nessun altro posto rispetto a quello in cui stiamo sedendo ora, durante l’esercizio.
Buon risveglio!
Lucio


[1] Candace Pert / MR Ruff, RJ Weber, and M Herkenham  Neuropeptides and their receptors: a psychosomatic network “Journal of  Immunology  1985 135:820S-826S.

[2] Interessantissima è al riguardo la posizione del biologo inglese  Rupert Sheldrake sul campo morfico. (cfr. R. Sheldrake, A new science of life, 1981)
[3] Penso, tanto per lanciare un tema di riflessione, a come ad esempio il “per-sé” Sartriano – quale  coscienza incapace di afferrare la propria essenza, perennemente protesa in avanti a perseguire il non ancora esistente (Sartre, “L’essere e il nulla”) – veda per sempre una via di uscita al suo dramma.





sabato 4 febbraio 2012

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Cari amici olisti,
impegnato in varie attività il mese scorso non ho avuto troppo tempo da dedicare alla stesura di nuovi post.
Ma sto lavorando per voi.. :-),  saranno in uscita a breve nuovi interventi!
Mi fa piacere vedere, invece, che i vostri accessi sono continuati anche durante questa mia latitanza.
Colgo l’occasione per celebrare con tutti voi la bellezza che l’esperienza di questo blog mi sta regalando: si tratta della costatazione che quando l’energia fluisce dal cuore, libera  da intoppi e strozzature, innesca movimenti belli come quelli veicolati da quanti tra voi mi hanno scritto in privato. Voglio a tale proposito sollecitare i vostri interventi e commenti anche direttamente sul blog, per farne quel luogo virtuale di confronto e di dibattito,  un’agorà di idee in movimento,  come ho più volte auspicato nell’inaugurare questo blog.

A presto!