Nelle tradizioni filosofiche orientali –
cosi come ci vengono tramandate nei centri di meditazione occidentali – ricorre
spesso il concetto di “uccidere” la mente di farne cessare il lavorìo....
Tutto giusto e condivisibile ma, anche alla luce delle
considerazioni del precedente post (Le-basi-corporee-della-coscienza….. del
11/02/2012), mi sembra doveroso spendere qualche parola di chiarimento sul
significato funzionale della “mente pensante” e spezzare una lancia a favore
dell’Io.
Con un’astrazione concettuale, definiamo
l’Io il senso del Sé ossia quella struttura/funzione psichica che ponendosi
come confine tra il Sé individuale e l’ambiente ne organizza lo scambio.
“Senza un confine non esisterebbe né il Sé né la
coscienza”.[1]
Come ho tentato di illustrare nel
precedente post una simile funzione ha precise basi corporee ed è stata
affinata dalla nostra storia evolutiva per permettere di percepirci e di
organizzare comportamenti congruenti e adattivi (al solo fine della
sopravvivenza) agli stimoli esterni.
Da ciò discendono a mio parere due conseguenze
logiche:
a)
non è possibile
liberarsi definitivamente del
confine dell’Io;
b) non dobbiamo a
tutti i costi demonizzare la mente cercando ostinatamente di “smorzarla”,
poiché questo sarebbe solo fonte di ulteriori costrizioni ansiogene e di
contrazioni muscolari.
Ciò che si tenta correttamente di
conseguire con la pratica meditativa è la consapevolezza propriocettiva
“estesa” di tutto il nostro essere, tentando di far si che il rumore di fondo
della mente non sia soverchiante.
Ciò che si vuole arginare è il “super-ruolo”
dell’Io, direi la sua sclerotizzazione come confine, che si manifesta:
-
quando lo spazio
del piacere del fare (anche professionale) è invaso dalle infestanti
aspirazioni egoiche di potere;
-
quando la
palpitante intimità fisica (che si può provare anche in assenza di Amore) è
stata soppiantata dall’ansia della perfomance e dal laboratorio pornografico;
-
quando il
“sentire” il proprio corpo è stato sfrattato dal delirio onnipotente di
superarne ad ogni costo i limiti e di poterlo rimodellare a servizio di una
perniciosa idea di esibizione;
In tutti questi e altri casi non è l’Io,
la mente “pensante” che svolge un ruolo invadente e inopportuno.
In realtà il povero Io tenta
disperatamente di svolgere il ruolo che gli è proprio: quello di organizzare al
meglio la nostra esistenza. E’ che, come un membro di un più complesso
equipaggio, si trova solo sulla nave a “vicariare” il lavoro di altri.
Esso (l’Io) è stato vittima di un complotto di
abbandono e tenta disperatamente e incautamente – con le sue sole competenze - di
continuare la traversata della vita.
In realtà l’abbandono è avvenuto a cura
del nucleo energetico centrale: quello per cui sentiamo l’energia promanare da
noi, quello che ci tende istintivamente verso il piacere e la Gioia.
Ciò che ha reciso la connessione profonda tra questo
nucleo e l’Io è stata probabilmente un’interruzione, antica, del legame di
amore.
Per questo ritengo che ogni lavoro di
rilassamento e, più in generale di auto-consapevolezza, vada condotto togliendo
prima ciò che vi è di troppo. Altrimenti si rischia di sostituire una
“sovrastruttura” con un'altra, fornendo ancora più combustibile a quella mente
che si pretende di spegnere.
Come dice egregiamente Lowen “Per quanto intensa possa
essere, la meditazione non riesce a far piangere l’individuo il cui impulso al
pianto sia stato represso.”[2]
Nessun commento:
Posta un commento